Vorremmo scrivere della vita, dei fasti dei campioni, della gioia, della pianificazione degli impegni futuri dei calciatori e di quell’azzurro cielo limpido che è l’emblema della serenità per tutti. E invece ci ritroviamo a scrivere della morte, della tristezza di fine vita di campioni e di uomini eccellenti che mettono alla prova anche la nostra capacità di giornalisti a non cadere nella facile retorica dei sentimenti. Ma non è facile, soprattutto quando devi ripercorrere le gesta sportive che inevitabilmente si intersecano all’uomo, alla sostanza dell’essere e a ciò che ha saputo lasciare in un’eredità preziosa fatta di esempi e messaggi pieni di forza e coraggio verso chi, a un certo punto della propria vita, si incontra con la sofferenza. Gianluca Vialli è morto. Aveva 58 anni e da qualche anno soffriva per un tumore al pancreas. L’ex calciatore di Cremonese, Sampdoria, Juventus e Chelsea si è spento a Londra nella clinica in cui si stava curando. Pochi mesi fa fermò i suoi impegni con la Nazionale Italiana, consigliato dai suoi oncologi che, evidentemente, hanno constatato l’aggravarsi della malattia. Come Sinisa Mihajlovic, arresosi a una forma aggressiva di leucemia che l’ha spento il 16 dicembre scorso, adesso anche Gianluca Vialli ha perso la sua partita contro “l’ospite indesiderato” – così come lo chiamava lui – talora anche con quel mezzo sorriso che si incrociava all’inevitabile e giustificata preoccupazione per il suo futuro. Vialli era un intellettuale che possedeva una sorta di innata capacità di affrontare sempre a viso aperto ogni situazione di vita, anche la gravità della sua malattia che metteva a disposizione come messaggio verso chi soffre di cancro e vive nel dolore e nella disperazione. Un modo come un altro per stringersi all’unisono con chi a un certo punto della propria esistenza si trova davanti a doversi confrontare con le riflessioni sul profondo significato della vita. “Al termine di una lunga e difficoltosa “trattativa” con il mio meraviglioso team di oncologi” – aveva dichiarato Vialli – “ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico – fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia, in modo da essere in grado al più presto di affrontare nuove avventure e condividerle con tutti voi”. Una comunicazione ai suoi fan, al mondo del calcio, all’universo dello sport, agli amici e a tutte le persone che gli vorranno per sempre bene, che ha avuto il sapore di tranquillizzare gli altri e forse anche di darsi forza nell’autoconvinzione di potercela fare a mandare fuori di casa sua “quell’ospite tanto indesiderato”. “Io ho paura di morire” – disse qualche tempo fa in una delle tante interviste rilasciate ai colleghi – “non so quando si spegnerà la luce e che cosa ci sarà dall’altra parte. Ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire. Mi rendo anche conto che il concetto della morte serve anche a capire ed apprezzare la vita”. E chissà, forse in quell’intenso abbraccio con il C.T. Roberto Mancini che ha fatto il giro del mondo dopo la conquista della Coppa agli ultimi Europei, c’è stato il librarsi di quell’attaccamento alla vita in un momento di intensa commozione emotiva. E’ il linguaggio del corpo che non ha bisogno di tante parole, di tante ipocrisie e squilli di tromba che servirebbero soltanto a sminuire un così alto messaggio di attaccamento all’amicizia e alla vita. E adesso che per Gianluca si è spenta la luce e quell’eccitazione di scoprire cosa c’è dall’altra parte del cielo, assieme a Vujadin Boskov, Paolo Mantovani, Sinisa Mihajlovic, Pelè e tanti altri che l’hanno preceduto, ripercorrerà l’importanza del valore della vita vissuta tra una fantastica rovesciata, un gol e la fortuna di avere tramutato in lavoro la passione per quel pallone che ha rincorso tutta la vita.
Salvino Cavallaro